Michele Padovano, ex calciatore della Juventus, racconta il suo calvario giudiziario
Il 22 maggio 1996 la Juventus vince la sua ultima Champions League superando ai rigori (dopo che la partita era terminata 1-1 con gol di Ravanelli e Litmanen), l’Ajax di Amsterdam, club che deteneva il trofeo. Segnano i primi due tiri dal dischetto Ferrara e Pessotto, il terzo rigorista (prima della trasformazione decisiva di Jugovic) è Michele Padovano che supera Van der Sar con un sinistro a incrociare angolatissimo che il lungo portiere olandese intuisce e sfiora con le dita ma non riesce a respingere.
Padovano era già stato grande protagonista di quella indimenticabile stagione avendo segnato il decisivo 2-0 nell’avvincente incontro di ritorno dei quarti di finale con il Real Madrid. L’anno successivo segnerà una doppietta nella Supercoppa Europea al PSG. Oltre che con la Juve, giocherà fra A e B nel Cosenza, nel Genoa, nella Reggiana, nel Como, in Inghilterra nel Crystal Palace e in Francia nel Metz. Insomma, Padovano è stato un ottimo calciatore professionista, al suo attivo anche una presenza in Nazionale, un attaccante, più seconda punta che centravanti, da 100 reti in carriera, stimato unanimemente per serietà e correttezza.
Appesi gli scarpini al chiodo, come avrebbe detto Nicolò Carosio, inizia l’attività da dirigente dapprima a Reggio Emilia e al Torino poi ad Alessandria fino a che una notte del maggio 2006 dopo una serata in pizzeria con gli amici viene bloccato nei pressi dell’ospedale della città piemontese da tre auto civetta delle forze dell’ordine e arrestato.
Comincia così un calvario durato ben 17 anni. L’accusa è pesantissima: associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti dalla Spagna (hashish nello specifico).Dieci giorni in isolamento nel carcere di Cuneo, tre mesi nel penitenziario di Bergamo, altri nove ai domiciliari, poi il processo.
Il PM considerandolo un novello Pippo Calò chiede 24 anni di pena: il tribunale di primo grado lo condanna a otto anni e sei mesi che si riducono a 6 anni e otto mesi in Appello. La colpa di Michele Padovano era stata quella di aver prestato del denaro a un amico d’infanzia, che effettivamente spacciava, finanziando così, per gli inquirenti, l’acquisto di partite di stupefacenti.
In realtà i soldi erano serviti, come ampiamente dimostrato fin dall’inizio, per comperare due cavalli da corsa. Per fortuna la Cassazione annullerà la sentenza di appello, ordinando la ripetizione del processo. E dopo 17 anni finalmente l’assoluzione.
Un costo altissimo pagato per l’ennesimo errore giudiziario è lo stesso giocatore a spiegare: “Ho perso tutto quello che avevo: proprietà, soldi, fama. Cercavo lavoro e a parole erano tutti gentili e collaborativi, ma nei loro occhi leggevo il pregiudizio. Molti si fingevano amici, ma non lo erano. Ora che l’incubo è finito vorrei tornare a vivere. Del resto non mi sono mai arreso nemmeno in Tribunale rifiutando il rito abbreviato dato che ero certo delle mie ragioni”.
Michele Padovano, oggi apprezzatissimo commentatore per Sky, ha raccontato la sua storia in un libro “Tra la Champions e la libertà” (Cairo Editore) che presenterà al “Libraccio”(via Verdi 50, Mantova), alle ore 17.30 di venerdì 21 marzo in un incontro organizzato dal PSI. Dialogherà con l’ospite Michele Chiodarelli.
Occasione per conoscere dalla viva voce del protagonista i dettagli di una vicenda sportiva e giudiziaria sempre caratterizzata da umanità, sincerità, profondità di pensiero di un campione innocente!