Fondamentale eredità culturale lasciata dal prorettore del Polo del Politecnico. Non soltanto architettura in una città che spesso si dimostra ingrata
Caro Federico, mi concedo la licenza di confidarmi con te. Come abbiamo sempre fatto negli ultimi dieci anni. Momento di riflessione. Per ciò che hai compiuto. E per quanto lasci in eredità. Da amico, innamorato di Mantova. Come sei stato. E come rimani. Per progetti, idee, impegno. Non solo architettura. Tua madre ideale. Ispiratrice di una mente aperta. Abbinata a una passione creativa.
Pochi giorni prima del tragico destino, un ultimo approccio personale. Confessioni libere per affinità elettive. Due mondi distinti. Il tuo, professionalmente elevato e qualificato. Il mio, relegato a cercare di capire. Con garbo, umiltà, rispetto del ruolo di prorettore.
Persino il delicato rimbrotto per l’ultima intervista: “Mi hai fatto sgobbare, ma penso di avere fatto un buon compito”. Solo due giorni prima del mortale investimento nel maledetto retiro gardesano.
Sì, testimonianza finale rilasciata alla Nuova Cronaca. Pubblicata con l’auspicio e la speranza che potesse essere pratica devota per farti restare nel mondo dei vivi.
In questa trafficata terra mantova, dove si tenta di mitigare sofferenze e ansie di ogni giorno con show e parchi verdi. Concordi, sottovoce ma anche coram populo – sapendo di rischiare – di svolgere al meglio i nostri rispettivi mestieri.
Come accade per ogni morte, le espressioni di dolore hanno libera lingua di sfogo. Qualcuno ti ricorda così: “Bucci è stato uno straordinario personaggio, che tanto ha fatto per rendere il Polo universitario della città una realtà importante, la cui reputazione è cresciuta di anno in anno”.
Un altro esponente istituzionale della vita cittadina comunica: “Federico era un passionale, amava davvero il suo lavoro e lo svolgeva con grande entusiasmo. Era spesso dirompente e in più di una occasione abbiamo anche polemizzato nel merito di alcune scelte. Ma sempre, ogni volta, passato qualche giorno, ci chiamavamo e uscivamo a pranzo, ci ridevamo su, ci davamo una pacca sulla spalla e insieme pensavamo ad altre iniziative da promuovere insieme. E poi le facevamo, sempre”.
Sincera, almeno lei, con poche battute, la ministra Anna Maria Bernini: “Federico Bucci, una personalità di primo piano, un punto di riferimento per tutta la comunità accademica e studentesca del Politecnico”.
Ma guarda un po’. C’è chi mente sapendo di mentire. Ipocrisia di chi si sente unto dall’alto immaginando di restare nella storia. Quella storia che tu, Federico, hai invece coniugato con il presente guardando al futuro.
“Lo straordinario patrimonio cuturale e artistico di questa città – frase tua che riecheggia quasi in modo ossessivo – è il riferimento per dare concretezza al domani. I nostri studenti di architettura, che vengono da ogni parte del mondo, stanno imparando questa lezione. Nuove generazioni animate da spirito di comunità e da ambizioni professionali”.
Adesso in molti esaltano personalità e ruolo. Certo, alcune scelte non hanno trovato condivisione e riscontro. Qualche architetto – e altri – ha sovente criticato taluni progetti. Almeno questi colleghi si esprimevano in presa diretta. Pubblicamente.
Stridono frasi di circostanza vergate su freddi comunicati stampa. Rimbomba La Rochefoucauld: L’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù. Simulazioni, verbali o scritte, che si specchiano nei diversi narcisismi. Persino nelle indifferenze. Gambe tese per invidia o incapacità di intendere e volere.
Grida vendetta il costante e umiliante silenzio della Fondazione UniverMantova. Mai un’apertura costruttiva o un approccio concreto.
Il rebus della Casa del Mantegna. Amministrazione provinciale sorda alla tua proposta di dare forza al “cuore della progettazione nel segno del Maestro”. Insistendo sino all’esaurimento. Al punto che Palazzo di Bagno ha ceduto, riconoscendo di non essere in grado di governare la Casa. Da qui protocolli che, forse, potranno risolvere questo gioco enigmistico durato decenni.
Inoltre l’edificio, fuori e dentro, di via Scarsellini. La sede del Polo del Politecnico di Milano – convinta adesione del precedente rettore e della nuova rettrice, Donatella Sciuto – sistemata e ammodernata con risorse proprie.
Federico non avrai l’opportunità di conoscere di persona quale sarà la sorte di questa sede allo scadere della Convenzione. Anche qui tante promesse con l’incertezza all’orizzonte. Chi saprà trattare con il Comune che si è sempre fatto bello grazie al tuo lavoro e a quello del tuo impareggiabile staff? Arduo compito per chi riceverà il testimone.
Cittadino ad honorem della Mantova dei Palazzi contaminanti e delle Torri utopistiche che si è autopromossa capitale dei Festival. L’intuito bucciano è stato tale su dove e come agire. Dieci anni fa il battesimo di MantovArchitettura. Dapprima snobbato, poi indicato come fiore all’occhiello anche se pressoché autogestito finanziariamente. Tu, riconoscente del meeting letterario, tanto da affermare: “Il nostro decennale Festival come un appassionato allievo di quello della Letteratura: abbiamo ancora tanto da imparare sul versante della comunicazione”.
I soloni si svegliano, nella dolorosa circostanza, esaltano la rassegna architettonica. Inneggiano alla Cattedra Unesco che hai inventato diluendo pari interesse (e affetto) tra Mantova e Sabbioneta.
Dov’erano quelle menti allorché c’era da condividere collaborazioni e contributi?
Lo Studentato – a babbo morte – arriverà. Con l’impegno civico di intitolarlo a te. Però quanta sofferenza e quanto tempo smarrito.
Critiche? Le hai sempre accettate. Pur orgoglioso e superbo (carattere focoso) replicavi con spruzzate di peperoncino. Porzioni eccitanti di dialogo offerte alla mensa del territorio su un piatto ben preparato. Insieme a docenti, studenti, dirigenti, collaboratori.
Mantova non di rado versa lacrime di coccodrillo. Proponendo piatto unico. O mangi questa minestra o salti dalla finestra. Senza presentare un menu in cui scegliere le portate.
Caro Federico, ancora una volta, potrò passare per disfattista in una comunità che non vede, non sente, non parla difronte all’effimero che da anni sopravanza le reali urgenze quotidiane. Tanto che, nella nostra ultima conversazione, avevo colto amarezza, nonostante la tua carica da guerriero.
Il ruolo di prorettore ti ha salvato dall’esilio che umilia chi preferisce saltare dalla finestra. Questo il vero volto della città del Podestà. L’atto di mentire consapevolmente per attirare favori sociali o l’atto di agire secondo principi che vengono criticati allo stesso tempo: caratteristiche di chi si sente un dio in terra.
Niente e nessuno possono cancellare la traccia che hai lasciato. Don Chisciotte? No! Saggio compagno. Non eroe, bensì onesto combattente.
Werther