Luoghi del fantastico
Al Castello Estense di Ferrara, fino al 26 dicembre, è allestita la mostra Arrigo Minerbi tra liberty e classicismo a cura di Chiara Vorrasi. Mostra utile, opportuna e assai ritardataria. Ferrara ne era in debito dopo aver lasciato decadere la fama di questo monumentalista insigne all’ombra cupa delle leggi razziali fasciste del 1939. Infatti, Arrigo Minerbi (Ferrara, 1881- Padova, 1960) proveniva da antica famiglia ebrea ferrarese. Dopo l’iniqua sanzione anche per la sua opera iniziò un declino critico che avrebbe dovuto ricredersi nel dopoguerra, ma ciò non è avvenuto, con una perdita sostanziale per la cultura ferrarese e italiana che questa mostra – ormai fuori tempo massimo -, forse, può riparare (https://www.castelloestense.it).
Gabriele d’Annunzio, il Vate che fu anche gran critico d’arte e in particolare eccellente conoscitore di scultura, considerava Minerbi, suo amico, uno “spirito nervoso, agile, moderno” che negli anni Venti e Trenta del Novecento conobbe vasta notorietà, tanto da essere annoverato dalla critica “tra i maggiori del nostro tempo”, “per altezza d’ispirazione, potenza creativa e sapienza tecnica.
Nella seconda metà del Novecento il suo classicismo idealizzato tra reminiscenze Liberty e Déco parve antimoderno. La mostra riassume per la prima volta l’intero arco della produzione di Minerbi ricollocandolo nel contesto artistico italiano di primo Novecento. Egli è stato il maggiore artista ferrarese del suo tempo. L’opera dello scultore ferrarese testimonia un temperamento originale ma perfettamente radicato nel dibattito artistico cha ha accompagnato il passaggio dal modernismo con declinazioni simboliste di inizio secolo alla tradizione, fino al classicismo monumentale dominante negli anni Trenta. Questa parabola è confrontata con una ricca selezione di sculture a cui sono accostate opere pittoriche e plastiche di maestri italiani tra Simbolismo, Realismo Magico e Novecento (tra i quali Gaetano Previati, Leonardo Bistolfi, Adolfo Wildt, Galileo Chini, Ercole Drei, Felice Casorati, Ubaldo Oppi, Mario Sironi, Antonio Maraini, Achille Funi).
Eppure, una delle opere maggiori da lui concepite è stata ignorata, semidistrutta, vilipesa da eventi bellici, dalle forze atmosferiche, e persino attribuita a ignoti artisti locali, ma è ancora una delle meraviglie della riviera ligure. Inevitabilmente visibile, è stata solo recentemente ripresa con restauro conservativo, cioè senza risarcimento delle mutilazioni causate dai bombardamenti, trascuratezze varie, e agenti naturali. Gli Alleati non furono rispettosi per l’arte costruita, bombardando chiese, teatri e monumenti storici, persino ville isolate. Non si creda diversamente, la guerra non rispetta l’arte. Quelle connerie la guerre (che cazzata è la guerra), recita Jaques Prèvert. Al Nettuno di Monterosso, sotto e bombe, sono cadute le braccia, perso il tridente che impugnava, sbriciolata la grande conchiglia sorretta dalla statua che conteneva un giardino percorribile, la testa danneggiata in vari punti. A rifinire il degrado provvidero il vento salmastro e le mareggiate. Poi, la grande villa in stile post Liberty che sembrava puntellata dal gigante fu abbandonata. Varrebbe la pena di pensare alla fragilità delle statue artistiche colossali, già dalla storia dell’arte antica fino al Rinascimento, tra le quali resiste l’Ercole, quasi sconosciuta statua enorme di Bartolomeo Ammannati in Palazzo Mantua Benavides a Padova, alto circa dieci metri. Negli anni Ottanta il Nettuno gigante di Minerbi è ricordato nel romanzo “Il tesoro di Masquerade” del 1979, dello scrittore e illustratore inglese Kit Williams, dove sono esposti alcuni enigmi da risolvere per ritrovare un tesoro nascosto in territorio inglese.
Il libro ispirò diverse versioni di questa caccia al tesoro tra cui una italiana, del 1982, narrata da Carla Vignola che immagina il tesoro nascosto nel tallone dell’ imponente Nettuno minerbiano di Monterosso al Mare. Soprattutto in questo lavoro gigantesco in ferro e cemento, lo scultore ferrarese avrà pensato al grande Nettuno di Giambologna in Piazza Maggiore a Bologna, o al colossale Appennino di Villa Demidoff a Pratolino, anch’esso mal ridotto, e al Nettuno della fontana di Piazza Signoria a Firenze. Forse sognò Michelangelo che voleva scolpire un intero monte e, mi pare, soprattutto si riferì alla Fontana del Tritone di Bernini a Roma.
Oggigiorno, il gigantismo è moda corrente nell’arte contemporanea seguendo il gusto dominante in USA dove “più è grande più è bello”, equazione perversa, consumistica, che umilia la cultura, ma ormai invalsa. La grande opera di Minerbi potrebbe trarre vantaggio dal gusto corrente facendosi ammirare e imponendosi di nuovo non più solo come rudere titolato. Il gigante Nettuno torna ora restaurato all’ammirazione dei Liguri e dei turisti. Alta 14 metri e pesante 1700 quintali, la statua fu realizzata in ferro e cemento nel 1910, con la collaborazione dall’ingegnere François Levacher, argentino, che aveva costruito la villa sovrastante sullo scoglio di Fegina proteso verso Punta Mesco, sul lato occidentale del Golfo delle Cinque Terre, di cui sopravvive solo la torre. La statua sosteneva una terrazza a forma di conchiglia, che adornava la splendida Villa Pàstine, costruita per l’avvocato Giovanni Pàstine, tornato dallArgentina dopo aver accumulato un’enorme fortuna. La villa stava sulla falesia alla punta Mesco alle Cinque Terre, dove l’avvocato ebbe l’idea fantasiosa di costruire sull’estremità dello sperone antistante, a picco sul mare, una terrazza sorretta dal Nettuno colossale, oggi ancora sorprendente benché mutilo, un oggetto fantastico mimetizzato nella roccia.
renzo@renzomargonari.it