Intervista al giornalista scrittore Fabrizio Binacchi
Non è soltanto un amarcord. Il libro “Piccoli segreti mantovani” (Oligo Edizioni, 2023) è un’odissea padana, un viaggio tra le nebbie di un passato non troppo lontano, il diario emozionale di un uomo legato alle proprie radici.
Quest’uomo è Fabrizio Binacchi, giornalista, autore e conduttore di programmi televisivi (tra cui Linea Verde, su Rai 1), scrittore e docente universitario. Nella sua carriera giornalistica ha collaborato con testate importanti e ha condotto il Tg1, fino all’attuale incarico di Capo Redattore Centrale per Rai Vaticano.
Nonostante il successo, non ha mai dimenticato la sua terra d’origine, Suzzara, e dunque la provincia di Mantova. Anzi, ha voluto onorarla, dedicandole la sua ultima fatica letteraria.
“Piccoli segreti” si presenta come una serie di racconti di ambientazione mantovana, tratti da alcuni episodi significativi della vita dell’autore. Si passa dalle camminate in golena con la nonna agli esordi da cronista della Gazzetta di Mantova, fino agli eventi più recenti, come il terremoto del 2012.
Si legge, nell’incipit: “L’Italia è […] una nazione di comuni e frazioni, di province e valli”. Ecco perché questo libro, pur radicato nelle terre virgiliane, assume un significato più ampio: ogni parte d’Italia si riconosce in aneddoti agresti e contadini come quelli narrati da Binacchi.
E poi capita che le piccole storie personali si intreccino con eventi storici: le ferite del sisma, i big della politica in piazza Erbe, Maria Bellonci al Ducale. Il tutto accompagnato dalla “profonda leggerezza” che contraddistingue l’autore.
Binacchi, quanto è forte il suo legame con la terra di origine?
“Molto forte. È un legame di ricordo, tra realistico e onirico. È un rapporto che mi riporta indietro alla mia infanzia, all’adolescenza e poi ai primi quindici anni di lavoro a Mantova. Ricordare la mia terra significa per me ripensare ai fatti e ai personaggi di quegli anni: la prima intervista, il primo direttore, il primo lutto…una serie di memorie professionali e umane che ho deciso di rispolverare in questo libro.
Esiste ancora quel “piccolo mondo antico” di cui parla nel libro?
“Esiste ancora solo se noi lo vogliamo vedere e proiettare nel mondo di oggi. Purtroppo, non ci sono più i protagonisti e i momenti magici di allora. Penso ai pescatori, ai personaggi che si incontravano in golena, al boscaiolo, alla signora che raccoglieva i gatti randagi, alle donne che facevano il bucato il lunedì. Quelle persone non ci sono più. Però sono convinto che l’atmosfera possa essere ricreata, a patto di provare le emozioni di una volta”.
Un ricordo indelebile della sua infanzia nel Mantovano?
“Me ne vengono in mente due. Il primo, quando da ragazzo attraversavo la provincia di Mantova da Sud a Nord. Per me, passare dalla mia Suzzara all’Alto Mantovano era come avventurarmi nelle terre più remote. Mi sembrava che proprio la città di Mantova dividesse la sua provincia in due mondi opposti: a Sud, la Bassa, con il Po (che era il nostro mare) e le distese di campi coltivati; a Nord, i colli morenici che ti facevano respirare già l’aria di montagna e del Lago di Garda.
“Nella mia giovane mente, associavo la Bassa al lavoro, mentre vedevo Volta Mantovana e Cavriana come luoghi vacanzieri. Mi piace ricordare queste mie fantasie geografiche. Il secondo ricordo è legato alla Fiera Millenaria di Gonzaga e a Gilberto Boschesi, scrittore, giornalista e cultore della Fiera. Un giorno, nel periodo della Millenaria, vedendo così tanti turisti, Gilberto mi disse in latino: “Et leo rugit” (cioè, “E il leone ruggisce”). Quella frase così sintetica e carica di significati fu per me una lezione di giornalismo. Lo stesso Boschesi, tra l’altro, fu l’ideatore del raduno dei Madonnari alle Grazie. Un vero innovatore”.
A proposito di Fiere e di eventi culturali, èin corso il Festivaletteratura. Che rapporto ha con il Festival?
“Confesso di averlo vissuto poco, poiché nel periodo in cui si svolge ho spesso avuto incarichi lavorativi che mi hanno tenuto lontano da Mantova. Questa mancanza è per me motivo di vergogna, soprattutto quando i colleghi di altre città mi parlano del Festival e dimostrano di saperne più di me. Comunque, ho assistito a tre edizioni della manifestazione e ho sempre colto un’atmosfera penetrante e pervasiva. In questi giorni, la città si trasforma e brulica di autori, ricercatori e visitatori. Il mio giudizio su Festivaletteratura è del tutto positivo: penso che possa essere una molla per generare qualcosa di importante”.
Lei ha mosso i primi passi nel mondo del giornalismo scrivendo per la Gazzetta di Mantova. Qualche ricordo che si porta dietro?
“La Gazzetta è il luogo principale della memoria. Ricordo il primo stanzone dove lavoravamo in dodici. C’era un’atmosfera magica, che porto sempre con me. In quegli anni – parlo del periodo dal 1979 al 1987 – ho trovato in questo giornale l’essenza del servizio pubblico. Infatti, la Gazzetta era il punto di riferimento per tutti, anche per quelli che portavano in redazione gli occhiali e le chiavi smarrite. Era un faro per i cittadini, perché rispondeva alle loro esigenze. Ricordo che, quando facevo i turni di notte, arrivavano tante richieste di necrologi. La Gazzetta era soprattutto questo: servizio pubblico”.
È recente la notizia della cessione della storica testata al gruppo editoriale Athesis (attivo a Brescia e in Veneto). È un campanello di allarme?
“Questa notizia fa riflettere, pensando al passato di cui parlavo. Ma è anche un segnale che i tempi stanno cambiando. Spero che il giornale mantenga la sua identità che lo ha reso il quotidiano più antico d’Italia”.
La più grande soddisfazione nella sua carriera giornalistica?
“Anche in questo caso ne cito due. La prima: quando al Tg1 mi mandarono a fare una diretta a Palazzo Chigi per seguire le manovre dell’estate. Al mio ritorno, il direttore mi disse: “Dove hai imparato a fare le dirette?”. Io risposi: “A Mantova, dove, se fai il giornalista sei sempre a contatto con la gente”.
“La seconda: quando mi comunicarono che avrei condotto “Linea Verde”. Per me, cresciuto tra i campi, presentare un programma di agricoltura significava tornare alle origini”.
Leggendo “Piccoli segreti mantovani” si ha l’impressione di trovarsi davanti al Sociale, storico punto di incontro dei personaggi della mantovanità. Tra le pagine, capita di incrociare il prof Rodolfo Signorini, il sindaco Usvardi, il preside Lippo Poltronieri, il direttore Bulbarelli e altre figure familiari per i mantovani. In quest’opera, Binacchi offre un saggio di come il giornalismo possa servire la letteratura, consegnando i ricordi di una vita da cronista all’eternità delle pagine libresche. Questa è la missione di “Piccoli segreti”, un libro che regala emozioni, leggerezza e sorprese.
Francesco Raffanini