I Fauves a Martigny
Si può credere che le opere del movimento Fauve (belve, animali, in italiano) non piacciano ai frequentatori di musei, ai benpensanti, e a chi non ama l’arte contemporanea in generale. Le loro mostre sono poco visitate. Quei dipinti sembrano rozzi, trascurati. A eccezione di Henry Matisse e Albert Marquet, che passano per iniziatori del credo fauve, e le cui sgrammaticature formali furono ritenute grandemente progressiste anche da Picasso che le imitò, gli altri protagonisti del Movimento Fauve sono tra i meno conosciuti all’apice della storia dell’arte del XX secolo. Per conseguenza, le mostre dedicate al primo gruppo dell’avanguardia Fauve (Henri Manguin, André Derain, Maurice De Vlaminck, Charles Camoin, Georges Rouault, Albert Marquet, tutti al seguito di Henri Matisse), o alla tendenza che più fa tesoro dell’esempio di Van Gogh, sono infrequenti e per i veri amanti dell’arte costituiscono un evento da non perdere, soprattutto se rigorosamente concepite come quella in vista alla Fondation Gianadda di Martigny, dove le opere esposte illustrano i modi pittorici utilizzati dai Fauves, con cui si realizza la costruzione dello spazio mediante il colore, dove i forti contrasti cromatici sostituiscono la prospettiva. Per il tempo era una pittura molto trasgressiva, quasi brutale e perfino provocatoria, la cui vicenda è così intricata ed espansa da scoraggiare gli studi degli storici dell’arte contemporanea.
In effetti, a mio avviso, la questione fauvista non è adeguatamente conosciuta, tuttora non compresa, e perciò poco trattata negli studi. L’esposizione “Les années fauves” si riconcilia con le difficoltà critiche anche grazie ai nitidi scritti a catalogo (in francese), tra i quali raccomando il saggio di Rémi Labruse, Matisse et Derain. La mostra promuove alcuni dei principali protagonisti del movimento, un gruppo di amici che operarono nell’antico villaggio di pescatori di Colliure dalla luce abbacinante, e che si influenzano reciprocamente, trasferendo dall’uno all’altro le “disarmonie intenzionali” per produrre una pittura estrema e spontanea emozionante, come testimonia André Derain. La scelta delle opere esposte è ampiamente comprensiva degli anni formativi del movimento dal 1898 fino al 1910 e analizza come gli artisti si allontanino dall’esausto accademismo conducendo agli estremi la ricerca impressionista ed è in corso dal 7 luglio al 21 gennaio 2024, a cura di Jacqueline Munck, sottolinea la discendenza dal post-impressionismo, soprattutto da Van Gogh.
Ancora oggi il Fauvisme è territorio parzialmente inesplorato per gli storici che non sanno esattamente quanto sia ampio. Serve ricordare che la vicenda si svolge parallelamente agli ultimi sprazzi della moda liberty. Nessuno denota tale coincidenza, invece è una nozione non trascurabile per definire l’ambito che determina le idee fauviste. Finalmente, questa mostra presenta anche esempi della vasta produzione di ceramiche dipinte che i Fauves realizzarono riconoscendo l’alta marca decorativistica della loro pittura recuperata, appunto, dal Liberty. I Fauves mostrano una particolare attenzione alla materia cromatica, ognuno la impiega a modo suo. La spontaneità del tratto incrocia l’armonia della linea spesso fortemente demarcata con dipinti appena abbozzati, come tralasciati appena ottenuto l’effetto.
Dubito che sia stato Henri Matisse a stabilire il codice di questa nuova pittura, anche perché non esiste un modo specifico di essere “fauves”, se non l’aspirazione ad andare oltre ogni convenzione accademica. Perciò non ci si può limitare ai matissiani. Sperimentalismo dei mezzi, entusiasmo per colore e materia, il gruppo annuncia l’Espressionismo. Audaci nel tocco, il colore soppianta il disegno, costruisce lo spazio. La forma e il significato sono uniti. I fauves vogliono rivolgersi a tutti, vogliono essere popolari, vogliono che i quadri con il loro significato siano immediatamente compresi. Ritengono che la bellezza compositiva sia più importante che la forma espressiva. L’arte e la vita si riconciliano e le soluzioni plastiche si tendono in una ricerca di semplificazione, una sincerità e una energia vitale intrise di comune malinconia, valori forse ereditati da Van Gogh. Tutte queste caratteristiche saranno replicate dai primi gruppi espressionisti e particolarmente evidenziate.
Per conoscere la vera importanza del Fauvisme occorrerebbe, però, che si riabilitasse del tutto la figura di André Derain, ispiratore protagonista del movimento che fu la prima avanguardia artistica del secolo XX. Purtroppo, il mercato dell’arte trascurò il suo libero sperimentalismo ritenuto poco appetibile dai collezionisti. Inoltre, le vicende sociali e politiche in cui fu coinvolto, forse ingiustamente, lo tennero al margine, ma è ora di restituirgli appieno il suo merito artistico essendo stato anche il principale divulgatore Fauve in Inghilterra e in Germania. I fauvisti producono una pittura scomposta e trasandata, rapida, a volte appena abbozzata, poco piacevole nonostante l’urlo cromatico, scarsamente preoccupati della tecnica, spremendo colori direttamente dal tubetto senza impastare, con pennelli piatti abbondantemente intrisi di colore, e danno vita alla via per accedere a un nuovo concetto pittorico, segno pesante e riassuntivo, eliminando il chiaroscuro, e osservando già la sintesi strutturale della scultura tribale africana e dell’Oceania, su indicazione di Derain. Con un pò d’intuizione (che non dovrebbe mancare agli storici, ma spesso manca) sarebbe evidente come dagli abbozzi appena tracciati col colore nei dipinti di Henri Matisse già nel 1905 si arriva direttamente alla sintesi in segno nero sulle pareti della sua Chapelle de Sainte-Marie-du-Rosaire, a Vence, 1949-51, cui avrà pensato poco dopo Jean Cocteau sulle pareti della suggestiva Chapelle de Saint Pierre des Pêcheurs, a Villefranche-sur-mer, 1956-57 e più ancora nella Chapelle Notre-Dame-de-Jerusalem, terminata nel 1963 a Fréjus.
Eppure i Fauves non si staccano dalle avanguardie precedenti trattenendo nei loro modi contemporaneamente aspetti salienti inglobati dall’Impressionismo, dal Divisionismo, valorizzando Gauguin e Van Gogh, riuscendo a trasmettersi, soprattutto tramite Derain, fino all’Espressionismo tedesco. In ciascuno di loro si evidenziano alcune di queste particolarità, ma simile ibridismo simultaneo è particolarmente visibile nei dipinti di De Vlaminck. Queste specifiche caratteristiche avvalorano vari fauvismi. Dunque, avanguardia fondamentale, sebbene apparentemente poco durevole, i cui modi si disperdono nella tipicità singola dei più grandi protagonisti della pittura nella prima metà del XX secolo. Si conviene, però, che il Fauvismo si sia svolto assai brevemente, con una notevole produzione di opere. In effetti, il Fauvismo non si è mai concluso filtrando in ogni movimento pittorico d’avanguardia successivo, fino a oggi.
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A Giorgio Di Genova (Roma, 1933-2023), amico e avversario nella critica d’arte, tra i primi sostenitori del mio dipingere, partito per sempre il 25 luglio scorso, con due metri cubi di libri da lui scritti sull’arte del ’900.
Renzo Margonari