Chiacchiere d’arte
A Ferragosto, come nutrire questa rubrica di fatti e luoghi d’arte? Nessuna mostra rilevante all’orizzonte, difficile raggiungere in Svizzera o in Francia qualcuna degna di commento, penso di utilizzare appunti accumulati senza ordine che in altri momenti sarebbero apparsi su fondino grigio in appendice, oppure avrei sviluppato per ricavarne una pagina. Spero che queste divagazioni servano a ricordare con leggerezza, e siano più consone alla severa calura estiva di quest’anno, prima di riprendere le consuetudinarie recensioni di mostre e descrizione di luoghi fantastici. Mostre, se ci saranno, perché non ce la contano giusta. Il Governo non dà soldi alla cultura, anzi ne prende (come sempre) e non c’è aria di riformare la Scuola, ché abbiamo veramente toccato il fondo dell’incapacità formativa. La crisi culturale è ormai palmare e lo sarà ancor più quando sarà completamente esaurita la precedente spinta impressa da Franceschini, mentre il Governo (mi fa un po’ senso concedere la maiuscola) è completamente indifferente a questo tragico fermento regressivo. Forse, simile andamento gli è utile, ma ne abbiamo viste anche di peggio. In proposito, non dico altro. Politica ed economia culturale sono fuori dalla mia specifica competenza. Solo, vorrei ricordare a Coloro, che anche la Cultura fa impresa, e particolarmente in Italia. Coloro, tengano presente che, in Italia, trascurare la cultura equivale a un attentato alla Costituzione. Inoltre, la politica i questi anni -e anche la politica culturale assestata sull’asse angloamericano- sono ributtanti. In questo clima le annotazioni che seguono sono già scadute e remote.
- Tintoretto a Mantova – Per chi vuole un libro da portarsi sulla sdraio, gran lettura e magnifico stile letterario, La lunga attesa dell’angelo di Melania G. Mazzucco (Einaudi, nuova edizione 2021). Una narrazione avvincente ipotizza un esame di coscienza, una sorta di confessione, che il mitico gran pittore veneziano Jacomo Tintoretto confida sul letto di morte esaminando la propria vicenda umana, quella della sua arte, dei figli e del loro tormentato rapporto col padre. Mazzucco fa emergere soprattutto la personalità della figlia naturale Marietta, la Tintoretta, pittrice di talento della cui biografia manca una credibile documentazione al punto da lasciare in dubbio che sia mai esistita, rintracciata e pare capace di confondere la propria pittura con quella del maestro. Mazzucco illustra realisticamente la Venezia della società rinascimentale con dettagli precisi e disincantata osservazione Il libro è contemporaneamente una biografia romanzata ma attentamente documentata, un’acuta revisione critica corrispondente alla storia e all’arte di Jacopo Robusti e della sua bottega, ricavata da un intelligente spoglio documentale sulle tracce di Marietta e delle sue opere. Molte referenze ricordano il rapporto di Tintoretto con Mantova, alcune sue visite soprattutto ai duchi Guglielmo e Vincenzo Gonzaga per i quali aveva realizzato importati opere e il ciclo dei Fasti gonzagheschi. Qui soggiornò per undici mesi con Marietta senza dipingere, con gite sul lago tra il canneto e la riva. Mazzucco ipotizza che Marietta Tintoretta morì a Mantova. Nelle ultime pagine del romamzo si legge un encomio affettuoso di Tintoretto alla nostra città che peraltro compare spesso nei suoi ricordi (p. 442 e seguenti). Romanzo biografico-storico-critico. Ponderoso, ma avvincente.
- Pisanello a Mantova, seconda manche – Le truppe combattono fino alla vittoria. ma la gloria è attribuita al generale in comando. Allo stesso modo, il merito della grande scoperta dell’affresco di Pisanello in Palazzo Ducale fu attribuita al sovrintendente Paccagnini. Molti sapevano, ma pochi conoscevano, tranne -si diceva- la squadra di restauratori operanti in Ducale in quel periodo, che dopo aver coccolato l’affresco per un po’, i restauratori si decisero a comunicare il luogo del ritrovamento. Perlomeno, questa è la chiacchiera che circolava negli ambienti “informati” di Mantova. La mostra ebbe un enorme successo. Gli studiosi scrissero approfonditi saggi e supposizioni interpretative del soggetto rappresentato, del suo significato e circa la tecnica impiegata da Pisanello, alcuni supponendo che l’opera fosse rimasta incompiuta, eseguita dal 1430 al 1433, altri che dovesse essere in monocromo e nero. Maggior merito mi pare abbia Stefano L’Occaso, l’attuale e da me tanto auspicato direttore di Palazzo Ducale, che ha organizzato una seconda mostra dal 7 ottobre 2022 all’8 gennaio 2003, ristrutturando lo spazio della grande sala degli affreschi pisanelliani e corredando la visione finalmente riportata all’altezza originale, con alcune opere tardogotiche che illustrano il periodo in cui Pisanello operò a Mantova e aggiornando o perfezionando gli studi sull’opera. La mostra ha riscosso il giusto successo. L’Occaso ha confermato che si tratta della narrazione di un’impresa di Lancillotto, una chanson de geste tra le letture preferite dalla corte gonzaghesca, e nei canti dei menestrelli. Sono comparse molte autorevoli note di commento, tutte giustamente favorevoli all’iniziativa, ma la più condivisibile e precisa, sebbene sintetica, credo sia quella compendiaria di Marta Santacatterina, su “Arte dossier”, n. 404, dicembre 2022, Gli occhi puntati sulla giostra, p. 72-77.
- Sauro Cavallini prigioniero al Gradaro – Conobbe l’orrore dei campi di internamento durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel settembre 1943 a 16 anni, fu arrestato dalla polizia fascista e recluso nel campo di Gradaro a Mantova, dove rimase per circa un anno. I mesi di reclusione segnarono profondamente la vita di Cavallini e quando iniziò a praticare la scultura, gli incubi della prigionia presero forma e si tradussero nelle sue prime opere che non avrebbe più ripetuto negli oltre 50 anni successivi. Sono state esposte per la prima volta a Firenze nella mostra “Sauro Cavallini. L’opera di un internato”, allestita fino al 28 Febbraio 2023 nelle sale di Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, sede della presidenza della Giunta Regionale della Toscana. Ideata dal Centro Studi Cavallini e curata dal direttore Maria Anna Di Pede, la mostra si inseriva negli eventi della Giornata della Memoria 2023. Alcune di queste sculture, nel luglio del 2021, furono temporaneamente esposte nell’ex campo di concentramento di Fossoli nel Comune di Carpi (MO). La prigionia influì su tutta l’opera di Cavallini che volle sempre affidare alle sue sculture un messaggio di pace, fratellanza e amore universale. Si tratta di opere in ferro e in ottone, ispirate agli strazianti mesi trascorsi tra privazioni e paura. Le sculture, furono realizzate durante i primi anni ‘60 con la tecnica della “goccia su goccia” ovvero sciogliendo scarti metallici mediante fiaccola ossidrica, e sono dedicate unicamente alla figura umana dove l’angoscia, la sofferenza, il grido di aiuto, sono leggibili in modo inequivocabile. Sauro Cavallini si servì di quelle creazioni per metabolizzare un dolore che non avrebbe mai avuto modo di esprimere diversamente.
Così diede forma ai ricordi dei corpi scheletrici dei prigionieri, delle torture, delle brutali fucilazioni che per anni avevano tormentato il suo animo. In qualche opportuna occasione, Mantova dovrebbe fare la sua parte per il prigioniero del Gradaro. - Il Vento a Palazzo Te – Nel loro interessante articolo, Come un soffio o un uragano, sulla rappresentazione artistica del vento, pubblicato su “Art e Dossier” 412 di settembre 2023, p. 39-43, Rossana Mugellesi e Stefania Landucci, dopo aver osservato che nel dipinto Borea, 1903, il pittore di ambiente preraffaellita J.W. Waterhouse, descrive la mitica dea con abiti di blu intenso gonfiati dal vento, sia pure trascurando la citazione michelangiolesca non vedono che nella versione del dipinto riprodotto sulla pagina, il telo gonfiato dal vento è di un magnifico grigio-violetto che occupa gran parte dell’immagine. La svisatura è preceduta da una dotta citazione di Palazzo Te.
Nell’iconografia classica i venti furono raffigurati prima in forma equina, poi con sembianze antropomorfe e ancora come volti con grandi bocche e guance spiranti aria: così li rappresenta Giulio Romano nella Camera dei venti… Osservo che questi volti non hanno grandi bocche, ma fischiano soffiando forte (non “spirando”) dagli angoli della Camera progettata da Giulio, eseguita nel 1527-28 con parecchi aiuti. In particolare, la raffigurazione dei venti è dovuta molto probabilmente a Nicolò da Milano.
Renzo Margonari